Si potrebbe iniziare citando il Dottor Jekyll e Mister Hyde per raccontare questa fantastica storia di sdoppiamento non della personalità ma dell’attività creativa di Luigi Broggini. Dovrebbe altresì far riflettere i pubblicitari di oggi, così convinti di essere al centro del mondo creativo, a mantenere un sano distacco dai “manufatti” creativi da loro prodotti attraverso le loro agenzie in relazione alla “creatività” vera e totale degli artisti. Con questo non voglio dire che ci sia una creatività di serie A o di serie B ma probabilmente il percepito negli anni Sessanta del secolo scorso da parte dei maestri dell’arte contemporanea che si cimentarono con la pubblicità, era proprio questo: l’arte, quella attività che permette di esprimere concetti o immagini in totale libertà, non assoggettata a una committenza è totalmente diversa dalla pubblicità che implica l’accettazione di vincoli che siano essi un prodotto, una marca o un cliente committente. Il risultato di questo modo di pensare, ancora oggi porta alcuni artisti a non firmare i loro lavori pubblicitari o come in passato a creare degli pseudonimi, forse vergognandosi dell’attività di una attività commerciale oppure considerando la comunicazione pubblicitaria come un divertissement non degno di essere rivendicato.
La storia di Leon Garù, bellissimo nome di fantasia scelto da Luigi Broggini è illuminante; prendiamo per esempio l’artista, scultore e disegnatore affermato, nato a Cittiglio in provincia di Varese nel 1908 e cresciuto alla scuola di Adolfo Wildt all’Accademia di Brera. Wildt è stato un personaggio controverso e geniale che grazie a una committenza principalmente tedesca sviluppò inizialmente uno stile “gotico” che si evolse dopo una crisi artistica culminata con la distruzione e la mutilazione di alcune sue opere, in uno dei grandi scultori espressionisti del Novecento.
C’è da ipotizzare che crescere con un maestro così combattuto sia stata un’esperienza estremamente complicata e infatti dopo un soggiorno a Parigi nel ‘29 e dopo la scoperta di Degas, Broggini comincia un percorso autonomo che lo porta a sviluppare uno stile anticlassico e realistico, evidente nei pezzi con i quali partecipò nel 1939 alla seconda mostra del gruppo “Corrente” a Milano. Il movimento artistico “Corrente”, attivo nel capoluogo lombardo fra il 1938 e il 1943 in contrapposizione alle posizioni teoriche della Scuola romana e del Gruppo dei Sei di Torino, si divise in due filoni, pur condividendo l’avversione per i richiami all’ordine della cultura ufficiale. Un gruppo propugnava un taglio più realistico nella rappresentazione pittorica: rientravano in questo gruppo, fra gli altri, Renato Guttuso, Aligi Sassu ed Ernesto Treccani. Altri – come Renato Birolli, Bruno Cassinari, Giuseppe Migneco – si sentivano invece più vicini alle esperienze espressionistiche europee. Aderirono al movimento anche Lucio Fontana, Emilio Vedova e Giacomo Manzù anche se non pienamente riconducibili entro l’una o l’altra tendenza. La prima mostra del gruppo si tenne al Palazzo della Permanente di Milano nel 1939; la fama di “Corrente” si consolidò poi con opere sentite di rottura, fortemente provocatorie, come “Crocifissione” di Renato Guttuso (Galleria d’Arte Moderna di Roma) e “Deposizione” di Bruno Cassinari (Galleria d’Arte Moderna di Milano). Il Manifesto dei pittori e scultori, nel quale gli artisti del gruppo rivendicavano la funzione rivoluzionaria della pittura, costituì un punto di partenza fondamentale per la storia dell’arte italiana del dopoguerra nonostante la soppressione dell’attività da parte del regime fascista nel ’43. È interessante scoprire come il rapporto con altri artisti contemporanei come Lucio Fontana, abbia creato relazioni di amicizia e complicità; il figlio, il Dott. Stefano Broggini racconta in una intervista ad Alessandro Ricci di EGIDI, che da bambino passava le estati ad Albissola dove Lucio Fontana era un habitué, anche perché c’era il famoso forno per ceramiche di Pozzo Garitta. A Venezia, per la Biennale del ‘62, con Alberto Giacometti, con il quale c’era grande stima, passeggiava tra le rispettive opere esposte in due padiglioni vicini. Veniamo quindi, dopo aver descritto lo scultore e l’artista, al pubblicitario.
Perché Broggini abbia scelto di firmare le sue opere con uno pseudonimo a me sembra piuttosto evidente; considerava la pubblicità come un’arte minore e non voleva intaccare il prestigio di quanto fatto come artista.
Sarà per questo che la storia del logo della più grande azienda italiana è rimasta avvolta nel mistero fino a non molto tempo fa quando il figlio ha confermato che il cane a sei zampe di Eni, ieri Agip, l’altro ieri Supercortemaggiore, è stato disegnato da suo padre durante un concorso voluto da Enrico Mattei per scegliere il logo della nascente azienda energetica italiana.
Dalla comunicazione di AICAM, Associazione Italiana Collezionisti Affrancature Meccaniche, emerge da una relazione del Rotary Club di Milano, che Dante Ferrari, che fu il segretario del concorso, raccontò nel 1994 come si svolse la competizione. Parteciparono circa 4.000 bozzetti e la giuria fu impegnata per 14 sedute; i premi ammontavano a 10 milioni di lire e il primo premio andò all’opera con il contrassegno 3×3, presentata a nome di un grafico-fotografo di Milano, Giuseppe Guzzi.
Cito da AICAM: “solo una decina di anni più tardi si scoprì che l’autore del disegno era il notissimo scultore Luigi Broggini, che però non ha mai ammesso di esserne l’autore”.
Perché non abbia mai voluto accettare l’attribuzione di uno dei loghi più iconici della storia industriale italiana per me è abbastanza ovvio; non voleva essere ricordato per un lavoro che considerava un’attività estemporanea in un campo dove l’arte grafica era considerata “minore” rispetto alla sua vera attività artistica. In ogni caso, l’intuizione grafica così originale del cane a sei zampe, per qualcuno ispirato a un animale mitologico nibelungico, ha avuto il merito di trovare nel committente una giuria di interlocutori non certo privi di talento. Attribuire a un animale così strano la “brand identity” del nascente gruppo energetico italiano, in una competizione serrata con i grandi colossi dell’industria petrolifera americana, fu una scelta coraggiosa, consistente e in grado di rinnovarsi insieme all’evoluzione dell’azienda. Qualche anno più tardi, anche Bob Noorda si cimentò con la brand identity del Gruppo Eni, rendendo più stilizzato il logo. Secondo il “coccodrillo” di Domus a proposito della scomparsa di Bob Noorda nel 2010, a concepire il logo fu Luigi Broggini e a disegnarlo furono Bob Noorda e, attenzione, attenzione, Giusepe Guzzi. Lo stesso che compariva come persona referente del concorso. Sorge spontanea una domanda: sarà esistito il signor Guzzi o si trattava di un altro pseudonimo? Un vero giallo che bene si accompagna al colore della brand identity di Eni. Per tornare all’attività pubblicitaria di Broggini, anzi di Leon Garù, trovo interessanti i lavori per la Lotteria di Agnano e per la Lotteria di Merano, che riprendono uno dei soggetti preferiti dello scultore, i cavalli. Gli elementi grafici risentono di una certa freschezza di segno che li rende simili a una certa abitudine dell’affiche transalpina di illustrare in modo dinamico e raffinato i soggetti come nelle opere di René Gruau. Leon Garù firma anche uno dei primissimi poster per Alitalia nel 1954, dove secondo la galleria francese di affiche MasterPoster, viene visualizzato uno dei primi quattro Douglas C4, acquistati alla Pan Am nel 1949. Anche qui si scopre una incredibile storia italiana fatta di creatività ed eccellenza: il sito francese spiega che oltre alla fusione con LAI, Linee Aeree Italiane in una sola compagnia chiamata Alitalia, voluta dall’IRI, le prime hostess negli anni ’50 erano vestite dalle Sorelle Fontana, una casa di moda specializzata in produzioni sartoriali e nell’alta moda, nata a Roma nel 1943 e diventata celebre presso le grandi attrici di Hollywood che scoprivano in quegli anni Roma e Cinecittà. Torniamo a Broggini artista, che si cimentò anche con la poesia pubblicando due libri (“Due cipolline verdi”, 1956 e “Caffè Craja” 1962) questa volta con il suo nome e non con uno pseudonimo e chissà quante altre cose si potrebbero scoprire approfondendo la storia con chi è stato testimone di queste incredibili avventure creative. Magari in una prossima puntata si potrebbero intrecciare i percorsi creativi tra attività creative diverse tra loro o raccontare i percorsi degli artisti che si sono incontrati anche in territori culturali, politici o geografici differenti. Chiudo con una considerazione vista l’amicizia e la contemporaneità tra Luigi Broggini e Lucio Fontana, che quasi tutti gli artisti, scultori, pittori, poeti, scrittori, registi hanno toccato con mano la pubblicità, come Fontana nella campagna per Lloyd Triestino ma sempre con una certa prudenza. Chi attraverso uno pseudonimo, chi non facendolo sapere al pubblico, quasi che a toccare la pubblicità ci fosse il rischio di venire contagiati dalla parte meno nobile e più commerciale della creatività con il rischio di vedere intaccare l’ispirazione creativa per l’arte.
In altre parole, come diceva Jaques Séguéla: “non dite a mia madre che faccio il pubblicitario…lei mi crede un pianista in un bordello”.
Credits: Collezione Salce, Ministero dei beni culturali.
Leggi l’articolo su Touchpoint di Agosto / Settembre | 2023 n° 07