Quella di Remo Muratore è un’altra bella storia che si intreccia con alcuni momenti fondanti per la cultura grafica del nostro Paese. Originario di Chieri, si laurea in Architettura al Politecnico di Milano e frequenta la Scuola Superiore d’Arte Applicata all’Industria del Castello. Inizia l’attività di grafico nel 1935 acquisendo presso l’Istituto Grafico Bertieri un’approfondita conoscenza tipografica e collaborando con la rivista Risorgimento Grafico. Negli stessi anni, come abbiamo visto in qualche numero addietro, nasce lo Studio Boggeri e cominciano ad arrivare in Italia i primi grafici internazionali come Schawinsky, che portano la loro cultura estetica e le tecnologie applicate alle arti grafiche e fotografiche tipiche del lavoro di ricerca del Bauhaus.
Non è un caso infatti se anche Muratore, a un certo punto, nel 1938 comincia la sua collaborazione con lo Studio Boggeri dove, grazie alla sua esperienza nel disegno dei caratteri e alla sua formazione come architetto, realizza cataloghi, marchi e allestimenti fieristici. Presso lo Studio Boggeri, in quegli anni, realizza vari e importanti lavori e soprattutto conosce Xanti Schawinsky, Max Huber, Albe Steiner, Luigi Veronesi ed Erberto Carboni. Come Steiner e Veronesi comincia a coltivare l’idea di una comunicazione a servizio della comunità in grado di condividere i valori e sposando l’idea di modernità della tipografia che in quegli anni era tronfia delle immagini e della retorica del Ventennio fascista. Dal 1943 al 1945 partecipa attivamente alla lotta partigiana nell’Oltrepò pavese e dopo la liberazione, nel 1947, con Huber, Steiner, Veronesi e altri avvierà presso i Convitti Scuola della Rinascita i corsi per grafici pubblicitari. Nei due anni successivi alla liberazione c’è in Italia un fermento creativo e una voglia di chiudere i conti con il passato fissando però nella memoria europea l’attività svolta dalla Resistenza italiana. Accanto alla rinata industria cinematografica milanese che con opere di denuncia come Achtung! Banditi di Carlo Lizzani o Il sole sorge ancora di Aldo Vergano, Geo Agliani, che dei film precedenti era il produttore, chiese a Remo Muratore di seguire la realizzazione della grande Exposition de la résistance italienne di Parigi (tra il 14 e il 26 giugno 1946).

Si trattava di un progetto quasi monumentale di 140 pannelli, voluto dal CLN e dal CNR francese, che intendeva raccontare la Resistenza italiana attraverso una prospettiva nazionale. Le vicende che precedettero e seguirono la realizzazione della mostra di Parigi sono sintetizzate in una relazione firmata da Remo Muratore, che lavorò all’allestimento. Di questa mostra, che venne sospesa e rinviata dal governo francese, vengono allestite varie mostre in Italia, in Svizzera e a Praga, però dei pannelli si erano perse le tracce dopo che erano stati affidati dal Comando generale del Cvl all’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia. Nel settembre 2001, effettuando il trasloco di sede, le casse contenenti i pannelli vengono rinvenute e i materiali, restaurati nel 2005 in occasione del 60° anniversario della Resistenza italiana, vedono nuova luce in una mostra promossa a Milano con il titolo “La mostra ritrovata”.
I pannelli sono quelli originali scritti in francese e fatti di immagini e di collage che raccontano i momenti salienti del percorso sofferto di un Paese che ha visto i propri civili e militari combattere le forze di occupazione nazifasciste nel Nord Italia e nelle città del Sud per la liberazione. Muratore, come Veronesi o Steiner, sapeva bene di usare un mezzo di comunicazione propagandistico come era avvenuto con il precedente periodo fascista però si riconosceva in un linguaggio molto più sintetico, spoglio e privo dell’enfasi da “regime” che aveva connotato il Ventennio. Anzi sembra addirittura che la forza dei contenuti fotografici che mostrano la crudezza dei fatti venga lasciata scarna e con pochi elementi grafici di contorno. Prevalgono i colori neri e il rosso mentre i caratteri tipografici sono lineari e bold.
Si direbbe un’estensione dei messaggi puliti e sintetici visti negli anni ’30 a opera della scuola del Bauhaus, con però una forza espressiva più spontanea. Quella di Muratore è una figura di sperimentatore ed educatore che continua negli anni ‘60 realizzando per il Piccolo Teatro di Milano i manifesti più riusciti per equilibrio e rapporto tra foto e caratteri. Ha insegnato all’Istituto d’Arte di Parma e poi all’Accademia di Belle Arti di Ravenna dove qualche anno fa Mara Campana e Massimo Casamenti hanno curato una mostra con oltre duecento lavori, originali e in gran parte inediti, che sono poi entrati a fare parte delle raccolte grafiche della Biblioteca Classense che ha ospitato la rassegna.
Una frase su tutte, che oltre a essere uno dei titoli di uno dei suoi libri racconta Muratore nel suo percorso di sobrietà estetica e di impegno civile: “Io, come grafico cerco di evitare il grafismo”.

Courtesy by www.milanolibera.it/storie/la-mostra-ritrovata/
alle radici della comunicazione visiva italiana, heinz waibl.
La grafica italiana del ‘900, carlo vinti.
www.archiviograficaitaliana.com
www.campografico.org/journal/5-1938
museum für gestaltung zürich emuseum
foto: Uliano Lucas