Immaginiamo per un attimo che i migliori creativi internazionali del momento si trovino tutti o quasi a lavorare nella stessa agenzia e in una città internazionale.
Il pensiero correrà a New York o a Londra e a nessuno verrà in mente di immaginare che Milano nel decennio precedente allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale fu
in grado di attirare i migliori creativi d’oltralpe grazie a una struttura, lo Studio Boggeri, che fu la culla di un momento creativo in cui la “scuolasvizzera” si ibridò con la nascente cultura estetica e industriale mediterranea. In “Mapping Graphic Design History in Switzerland”, a cura di Robert Lzicar e Davide Fornari, Triest Verlag, (Zürich 2016), c’è una bellissima analisi dal titolo evocativo: “Swiss Style Made in Italy: Graphic Design across the Border” in cui si sottolinea come il 1933 sia stato l’anno che influenzò maggiormente la grafica italiana grazie alla nascita della rivista Campo Grafico ma anche e soprattutto per l’apertura
da parte di Antonio Boggeri, della sua agenzia. Nello stesso tempo in cui Albe Steiner iniziava la sua carriera, Alexander Schawinsky emigrava in Italia e Antonio Boggeri, che era stato il direttore della Alfieri e Lacroix, apriva uno studio dal profilo internazionale ispirato ai valori del Bauhaus. Sempre nel ’33 si apre a Milano la Quinta Triennale e il padiglione tedesco presenta un padiglione ispirato alle arti grafiche e da un commento di Edoardo Persico emerge che: “soltanto la mostra tedesca, che si limita a saggi di grafica, e la mostra svedese […] sono al corrente del gusto europeo.
Basterebbe notare come la composizione tipografica si vada orientando, in Germania, verso equilibri e ritmi che esistono indipendentemente dal contenuto dello scritto, per capire come questo espressionismo grafico si accordi al gusto più vivo dell’arte moderna”.
Inutile dire che un’altra ragione per cui Milano divenne un polo d’attrazione è che, nel frattempo, in Germania il regime nazista stava demolendo la cultura estetica considerata non conforme (la Bauhaus cessò l’attività nel settembre del 1932) e perseguitando i primi artisti grafici di origine ebraica che emigrarono negli Stati Uniti, in Svizzera o come Alexander “Xanti” Schawinsky in Italia. Il suo arrivo fu il primo esempio della diaspora della conoscenza sviluppata al Bauhaus. L’uso del fotomontaggio da parte di László Moholy-Nagy e la nuova tipografia sviluppata da Herbert Bayer e altri avevano risvegliato interesse tra i professionisti italiani. Schawinsky trovò sostegno nell’agenzia recentemente fondata da Antonio Boggeri che, oltre ad avere un’apertura mentale internazionale, aveva sviluppato quand’era direttore di Alfieri & Lacroix una serie di esperimenti grafici e fotografici che sfruttavano anche le nuove tecnologie di stampa.
Un imprenditore e direttore creativo completamente nuovo nel panorama italiano che trovò la giusta corrispondenza nel gusto moderno nascente e che per questo venne scelto dalle più grandi aziende manifatturiere dell’epoca. Secondo alcuni la presenza di Schawinsky a Milano compensò l’assenza di scuole di grafica in Italia e attrasse allo studio Boggeri una generazione di giovani grafici italiani, come Muratore, Veronesi, Munari, Castagnedi, Grignani, Nizzoli, Carboni. Analogamente, Schawinsky aiutò Boggeri a esplorare la scena svizzera: andarono insieme a Zurigo nel 1935 per incontrare Hans Finsler, un fotografo e insegnante della Kunstgewerbeschule.
Schawinsky non si limitava a padroneggiare un gran numero di tecniche progettuali e di disegno, ma le introdusse nella cultura italiana del design: l’uso di retini colorati e del fotomontaggio sono due delle influenze più evidenti della breve ma intensa permanenza di Schawinsky in Italia.
A questo punto della narrazione la fucina che crebbe alcuni tra i più grandi talenti creativi come Munari, Nizzoli, Grignani, Carboni diventò il punto di riferimento per una neonata cultura grafica in cui la pulizia e l’ordine estetico svizzero si fusero con il “disordine” espressionista all’italiana che vedrà i risultati più eclatanti subito dopo la fine delle Seconda Guerra Mondiale con le opere di Max Huber, grande interprete di questo mix di culture estetiche. Huber disegnò alcuni dei poster più famosi per il Gran Premio di Monza e tra le tante attività fu l’ideatore della “S” allungata dei Supermercati diventati dopo l’intervento di Armando Testa, Esselunga. Tornando alla storia dello Studio Boggeri una parte del merito della visione imprenditoriale lo si deve attribuire alla “visione” del fondatore o come oggi diremmo al posizionamento innovativo sul mercato italiano del suo studio che consisteva nel riunire in una sola struttura un gruppo di professionisti capaci di gestire la pubblicità dall’ideazione alla produzione. Insomma, un’agenzia ante litteram a servizio completo. Armando Milani, insegnante e grafico di fama internazionale, che con lo Studio Boggeri ha iniziato la sua attività, si stupisce di quanto poco sia conosciuto tra i giovani nonostante l’impronta lasciata dallo studio.
Purtroppo, è vero e credo che una parte della “dimenticanza” sia dovuta all’arrivo della televisione in Italia, di Carosello e delle multinazionali americane che hanno creato un nuovo paradigma della comunicazione facendo, erroneamente secondo me, apparire quanto fatto prima come obsoleto. Riporto un pezzo di un’intervista a Bruno Monguzzi, che da svizzero ed ex collaboratore di Boggeri spiega poeticamente la visione di Boggeri e della sua estetica grafica:
“Boggeri mi chiama nel suo studio e comincia a raccontarmi una storia di ragni e di ragnatele. E con le sue bellissime mani, le mani più belle che io abbia mai toccato, (era anche violinista!) traccia diverse tipologie di ragnatele nello spazio. Finalmente arriva alla grafica e mi dice che spesso la grafica svizzera è perfetta, ma spesso di una perfezione inutile. Utile, la ragnatela, sarebbe diventata
solo quando infranta dalla mosca. È così, che grazie a lui, è cominciata questa ricerca del senso nel mio lavoro”.
È divertente questa analogia tra i due mondi, quello svizzero ordinato e pulito fatto di linee che si infrangono quando arriva la mosca. Una mosca che si muove, si dibatte, si contorce e prova a rompere l’ordine per liberarsi e a questo punto la domanda che sorge spontanea è: se la mosca che rompe gli schemi e la ragnatela, rappresenta la cultura italiana, il ragno, che passaporto ha?
COURTESY BY: ROBERT LZICAR E DAVIDE FORNARI / MAPPING GRAPHIC DESIGN HISTORY IN SWITZERLAND, TRIEST VERLAG. BRUNO MONGUZZI, LO STUDIO BOGGERI 1933–1981, ELECTA. BRUNO MONGUZZI, LA MOSCA E LA RAGNATELA.