Qualche tempo fa sfogliando una rivista di architettura e interior design mi sono imbattuto in una bellissima casa un po’ anni ’80 con uno stile razionalista e molto efficace abitato da un’artista di origini giapponesi sul lago di Lugano.

Mi incuriosiscono molto le case degli artisti ma ancora di più i loro studi perché un po’ come capita ai professionisti della comunicazione non c’è mai una divisione netta tra il pubblico e il privato. Le cassettiere che contengono le stampe o i disegni di grande formato o i cavalletti per dipingere spesso sono inserite in ambienti polivalenti. Così mi è capitato di osservare attentamente le opere appese alle pareti e mi sono accorto con meraviglia che non attenevano alla cultura estetica giapponese ma al mondo della grafica svizzera degli anni ’60. Con grande meraviglia alle pareti c’erano lavori di Max Huber, per me uno dei più grandi punti di riferimento dell’arte grafica internazionale e uno che ancor oggi rappresenta il punto di contatto creativo, unico e irripetibile, tra la rigida impostazione elvetica e l’energia milanese dei primi anni del dopoguerra.

Con mia grande sorpresa scopro che la casa in cui vive l’artista giapponese è quella di Aoi Huber Kono, che altro non è che la moglie di Max e il mistero delle tante opere di Max alla parete, è subito svelato. Da li in poi ho immaginato i tesori contenuti nelle cassettiere del soggiorno, in questa specie di loft con elementi di arredo ispirati al mondo delle grandi firme del design italiano delle grandi firme con cui Max ha collaborato.

Mi immergo in questo fantastico pensiero e mi ritrovo proiettato nella macchina del tempo in pieno boom creativo milanese dove Max Huber condivide la scena creativa con designer e amici come Albe e Lica Steiner o con architetti come i Fratelli Castiglioni o intellettuali come Giulio Einaudi.

È importante sapere che Max Huber ha sempre lavorato come designer freelance, collaborando direttamente con ogni cliente cercando di trovare un equilibrio tra le esigenze dei suoi clienti e il proprio bisogno di sperimentare. Amava la ricerca innovativa e spesso mescolava elementi fotografici e tipografici piatti senza cornice con strisce di colore per trasmettere una certa sensazione di dinamismo e velocità come nei famosissimi poster per i Gran Premi di Monza.


Le sue griglie severe erano facilmente identificabili anche quando usava elementi riconoscibili nella sua progettazione, combinando l’uso di forme audaci con i colori primari.
La sua storia incrocia la vita creativa milanese in due fasi distinte: la prima volta, poco più che ventenne, trova lavoro presso lo Studio Boggeri che riconosce nel giovane svizzero un talento internazionale e lo coinvolge nei migliori progetti creativi. Sono gli anni in cui conosce altri grandi grafici come Albe Steiner che ritroverà subito dopo la fine della guerra e con il quale intratterrà una amicizia profonda condividendo anche una visione etica del lavoro di grafico. Nello Studio di Antonio Boggeri c’erano i più grandi talenti grafici frutto di questa visione internazionale del fondatore, che sono diventati delle vere e proprie graphic star. La lista dei nomi è impressionante: Walter Ballmer, Kathe Bernhardt, Deberny e Pigot, Ezio Bonini, Aldo Calabresi, Erberto Carboni,Fortunato Depero, Roby D’Silva, Paolo Garretto, Giovanna Graf, Franco e Jeanne Grignani,Giancarlo Iliprandi, Lora Lamm, Marcello Nizzoli, Bob Noorda, Riccardo Ricas, Roberto Sambonet, Xanty Schawinsky, Saul Steinberg, Albe Steiner, Carlo Vivarelli. Per il giovane Max arrivare in uno spazio creativo così multietnico e internazionale dev’essere stato entusiasmante ma Antonio Boggeri, che aveva così tanto talento da scegliere intorno a se i migliori era stato colpito dal biglietto da visita di Max Huber che a prima vista sembrava essere stampato, ma uno sguardo più attento rivelava che le lettere erano disegnate a mano con la giusta spaziatura ottica.
La seconda volta, rientra in Italia nell’ottobre del ’46, alla fine del secondo conflitto mondiale rientra e ritrova l’amico Albe e conosce Giulio Einaudi, Vittorini, Fortini. Einaudi lo incarica di curare tutta la grafica della casa editrice e come grafico indipendente lavora per le grandi aziende quali: La Rinascente, Edizioni Einaudi, Rai Radiotelevisione Italiana e l’Automobile Club d’Italia. 

L’attività è così ricca da elaborare uno stile che mette insieme la sua formazione svizzera con l’energia creativa del miracolo italiano. Diventa sempre “meno svizzero” e diventato docente alla Scuola di Rinascita si interessa anche di arte diventando membro del MAC, Movimento d’Arte Concreta assieme tra gli altri a Bruno Munari. Nel 1950, su richiesta dell’architetto Pagani, studia il nuovo marchio e logotipo per la Rinascente ed inizia la ricca collaborazione grafica con il grande magazzino.

Nel 1954 gli viene conferito il premio compasso d’oro e la medaglia d’oro per il lavoro grafico all’VIII Triennale di Milano.
La carriera di Max continua tra lavori, viaggi e inviti internazionali dove in uno di questi, a Tokio nel 1960 alla ” World Conference di Tokyo ” parla sul tema ” Design Steps forwards with Society “, conosce Aoi Kono, figlia del famoso maestro tra i grafici giapponesi Takashi Kono che sposa nel 1962. Negli anni settanta insegna grafica presso la Scuola Politecnica di Disegno presso la CSIA di Lugano in Svizzera. Membro dell’AGI (Alliance Graphique International). Si spegne a Mendrisio (Svizzera) il 16 novembre 1992.

Secondo Giampiero Bosoni, Huber “era uno splendido mix, aveva un incontenibile talento naturale e una mano impeccabile nel disegno, possedeva un vivace candore da eterno bambino, era un vero prodotto della Scuola Svizzera, che amava la ricerca innovativa, che vantava una curiosità vivace, essendo rapido ad attaccarsi – non senza ironia – alle idee più imprevedibili lavorando con grande precisione da professionista di prim’ordine”.


Credo che questa descrizione, si adatti perfettamente alla personalità di Huber, e che si percepisca  in tutti i suoi lavori così ricchi di energia, colore e al tempo stesso “rigore”. Proprio queste due anime contrapposte e unite, sono secondo me la chiave di lettura di uno dei suoi loghi più famosi: la Rinascente dove, guarda caso, convivono in un equilibrio perfetto, l’anima svizzera nel rigido carattere bold della “R”, con la leggerezza della “l” non a caso in…Italic.

Courtesy:

www.aoihuberkono.ch

www.centroculturalechiasso.ch

Alle radici della comunicazione visiva italiana, Heinz Waibl

Max Hube, Phaidon

www.sitographics

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