«C’è sempre qualche vecchia signora che affronta i bambini facendo delle smorfie da far paura e dicendo delle stupidaggini con un linguaggio informale pieno di ciccì e di coccò e di piciupaciù. Di solito i bambini guardano con molta severità queste persone che sono invecchiate invano; non capiscono cosa vogliono e tornano ai loro giochi, giochi semplici e molto seri.»
(Bruno Munari, Arte come mestiere, 1966)
Mi piace questa frase tra le tante cose scritte e dette da questo genio poliedrico e giocoliere creativo, perché lascia trasparire la cifra stilistica di quasi tutta la sua attività artistica. Le persone “che sono invecchiate invano” in realtà sono tutti coloro che non riescono a considerare i bambini come “esploratori creativi” e che non riescono anche nella vita reale a proiettarsi nel mondo della fantasia e che probabilmente per questo non possono comprendere la cifra creativa di un personaggio come Munari che ha fatto del gioco creativo la condizione imprescindibile per tutte le sue opere.
Le forchette parlanti, i giocattoli in gommapiuma, le macchine inutili, i libri illeggibili o le sculture da viaggio, raccontano del divertimento creativo che nel lavoro editoriale sembra più contenuto e austero ma mai banale.
Qualche nota biografica per inquadrare i vari periodi di Bruno Munari: nasce a Milano nel 1907, ma passa l’infanzia e l’adolescenza a Badia Polesine, un paese della campagna veneta sulle rive del fiume Adige, dove i genitori si trasferirono per gestire un albergo. A diciotto anni torna a Milano e, nel 1925, grazie ad uno zio ingegnere, comincia a lavorare come grafico. Le sue creazioni sono firmate con lo pseudonimo “bum”.
La sua attività artistica spazia dalla pittura al collage, alla grafica, al design, alle opere polimateriche. Frequenta il movimento futurista e Marinetti e partecipa a varie collettive.
Nel 1930 oltre all’attività artistica crea il suo primo studio grafico R+M, con “Ricas” Carlo Castagnedi e collabora con Lo Studio Boggeri e con la rivista Campo Grafico.
Munari si afferma come grafico pubblicitario e come illustratore nel settore dei periodici, adottando una posizione eclettica ma decisamente moderna. Quando nel 1937 viene meno il suo sodalizio con Ricas (entrato nell’Editoriale Domus), prosegue su un duplice binario, collaborando da una parte con la redazione dell’editore Bompiani, e dall’altra occupandosi come grafico della pubblicità delle aziende del gruppo Montecatini. Quindi, all’inizio del ’39 Munari viene ingaggiato in Mondadori come direttore artistico dei nuovi rotocalchi Grazia e Tempo, dove resterà in carica fino al settembre ’43, quando gli eventi bellici faranno cessare ogni attività della casa editrice. L’anno scorso alla Fondazione Magnani Rocca, a Parma è stata presentata l’attività di Munari come grafico per l’editoria e secondo la presentazione “tra i tanti aspetti, forse, proprio quello del Munari grafico/editore è quello di maggiore riconoscibilità: la grafica editoriale, sua vera passione, era anche il campo di un continuo autoapprendimento. Sin dagli anni Venti, infatti, il suo lavoro si è concentrato attorno alla forma del libro, della copertina”.
Dalla grafica, quindi, e dalle sue varie proposte per Bompiani, Einaudi e Rizzoli si può partire per conoscere l’artista: approcci diversi, che univano sempre rigore formale, ricerca, astrazione e illustrazione, modularità e invenzione.
“Non è che Munari facesse le copertine”, diceva Giulio Einaudi, “veniva lì e discuteva. Discuteva, appunto, con il direttore editoriale, con il direttore tecnico Oreste Molina e con me”.
È questa intelligenza che ha consentito alla grafica di Munari di depositarsi nello stile e nell’immagine dei suoi committenti e di colloquiare anche su altri piani: nei suoi lavori si possono infatti sempre individuare due livelli, un Munari grafico, ma anche un Munari a tutto campo, il cui impegno si dispiega sull’insieme del prodotto editoriale. Poi c’è il Munari illustratore e l’illustrazione è il metodo di rappresentazione scelto per raccontare delle storie. Lo troviamo nelle Fotocronache, dove la storia prevale e c’è un’unica fotografia da indagare, ma anche in tutti libri favolistici per l’infanzia. Si nota anche nell’illustrazione delle copertine, come quelle della Bompiani degli anni Cinquanta, con splendidi esempi di sintesi visiva, giochi astratti, manipolazioni e montaggi di fotografie, disegni fantasiosi e liberi. E poi c’è il Munari cinetico e programmatico, che definisce le condizioni del progetto lasciando aperto l’esito. Si muove in una dimensione concettuale, indaga il libro come oggetto seriale, le collane come sintagmi di identità editoriale, la grafica come testo per un percorso progettuale. Allora basta un quadrato rosso, cinque righe rosse parallele, sei quadrati (da riempire di testi o immagini, ma anche da modulare fino a ridurli a due). Bastano poche sottili linee su un campo bianco. Insomma, Munari dispone un metodo aperto. (Domus)
In tutte le sue opere, è presente un forte impulso sperimentale, che lo spinge a esplorare forme insolite e innovative a partire dall’impaginazione, dai Libri illeggibili senza testo, all’ipertesto ante litteram di opere divulgative come il famoso Artista e designer (1971).

Per valutare l’impatto che l’opera di progettazione di Munari ha avuto sull’immagine della cultura in Italia, si può prendere ad esempio l’opera per l’editore Einaudi. Munari realizzò con Max Huber tra il 1962 e il 1972 la grafica delle collane Piccola Biblioteca (con il quadrato colorato in alto), Nuova Universale (con le strisce orizzontali rosse), Collezione di poesia (con i versi su fondo bianco in copertina), Nuovo Politecnico (con il quadrato rosso centrale), Paperbacks (con il quadrato blu centrale), Letteratura, Centopagine, e delle opere in più volumi (Storia d’Italia, Enciclopedia, Letteratura italiana, Storia dell’arte italiana). In tutte le sue opere, è presente un forte impulso sperimentale, che lo spinge a esplorare forme insolite e innovative a partire dall’impaginazione, dai Libri illeggibili senza testo, all’ipertesto ante litteram di opere divulgative come il famoso Artista e designer (1971).
Nel 1974, insieme a Bob Noorda, Pino Tovaglia e Roberto Sambonet ha progettato il marchio e l’immagine coordinata della Regione Lombardia.

Courtesy:
Fondazione Magnani-Rocca, Parma
Corraini Editore,
Domus,
Kasa dei Libri,





