Quasi sempre quando si guarda alla storia visuale del secolo scorso si ha come la sensazione di scoprire tra le vecchie foto in bianco e nero personaggi che sembrano per definizione “antichi”. A me è capitato spesso di sentirmi diverso e moderno solo perché sono nato qualche decennio più tardi. Adesso parlando e analizzando il lavoro di molti di questi artisti nati tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, attivi tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale fino alla fioritura creativa del Made in Italy nel secondo Dopoguerra, mi sento un nano sia dal punto di vista creativo sia intellettuale. La mia generazione ha visto il fiorire delle tecnologie di riproduzione stampa e video e oggi si confronta con il metaverso e le intelligenze artificiali, ma non credo che quelli attuali siano salti epocali sconvolgenti come lo sono stati i periodi che alcuni degli artisti di cui mi sono occupato negli ultimi articoli hanno attraversato, passando dai primi anni del Novecento attraverso due guerre per raggiungere il periodo dell’industrializzazione creativa degli Anni ’50.
La rivoluzione digitale è sicuramente paragonabile ai grandi cambiamenti del secolo scorso ma non essendo stata cruenta è stata assimilata dai protagonisti contemporanei in modo naturale così come ci abitueremo probabilmente al passaggio dal motore termico al motore elettrico. Queste prime riflessioni mi sono venute in mente quando ho cominciato a scandagliare il lavoro e il percorso creativo di Marcello Nizzoli. Nato a Borreto in provincia di Reggio Emilia nel lontanissimo 1887, ha attraversato i tre grandi periodi della sua vita creativa cimentandosi con quasi tutte le discipline artistiche: è stato decoratore, pittore, architetto, disegnatore grafico e per finire designer industriale per l’Olivetti.
Non mi piace riportare soltanto le note biografiche scandite dalle date ma nella sua formazione all’Istituto d’arte Paolo Toschi di Parma, tra il 1910 e il 1913 ha la fortuna di incontrare degli insegnanti che lo indirizzano all’architettura e alla decorazione.
Parma in quegli anni è lontana dall’Art Nouveau “milanese” e paradossalmente è più vicina alla Vienna di Gustav Klimt e di Otto Wagner. Infatti, i primi lavori di Nizzoli subiscono il fascino della scuola mitteleuropea; non a caso, dal punto di vista politico, siamo ancora alleati con l’Impero Austro- Ungarico e con quello Tedesco- Prussiano nella Triplice Alleanza. Le decorazioni dell’epoca, ancora visibili nella sala Consiliare di Borreto, sono un assaggio di quello che verrà rivisto in chiave trionfalistica nei manifesti degli Anni ’20. Come scrive Arturo Carlo Quintavalle, “l’opera grafica di Nizzoli fu poco influenzata dalla scuola francese” dei Cassandre, a cui si ispirarono Sepo o Dudovich e molto di più dalla Secessione viennese. Da architetto e decoratore alla fine della Prima Guerra Mondiale con la scomparsa del riferimento culturale ed estetico viennese, Nizzoli si deve reinventare. Il lavoro non manca e la sua bravura l’aveva già portato a collaborare in pieno conflitto con le Acciaierie Ansaldo di Cornigliano per le quali disegna e progetta la comunicazione degli impianti. Sono immagini “grandiose” che ben si sposano con l’epoca che sta per fiorire in Italia con l’avvento del fascismo e della retorica imperiale.
Nel 1921 si trasferisce definitivamente a Milano dove inizia una collaborazione con il Cotonificio Bernocchi(una delle aziende tessili più importanti d’Italia) alternando la produzione di manifesti pubblicitari ai disegni per i tessuti. Sono anni di intensa attività per aziende come Campari, Fiat, Montecatini per le quali cura a volte l’immagine nelle Fiere Internazionali e a volte la comunicazione. Le architetture però sono quasi sempre effimere, perché anche se lavora con Baldessari, Figini-Pollini, Terragni (per il quale disegna i decori della Casa del Fascio di Como), i suoi lavori sono legati alle Grandi Esposizioni e di tutto ciò rimangono solo i disegni progettuali e le foto nei vari archivi. Tra le tantissime opere di decorazione rimangono però le sei mappe delle città d’Italia ancora presenti alla Stazione Centrale di Milano negli spazi attualmente occupati dalla libreria Feltrinelli. La Seconda Guerra Mondiale sconvolge il mondo e Nizzoli, che all’inizio degli Anni ’40 viene chiamato da Sinisgalli a occuparsi della comunicazione di Olivetti, in parallelo dipinge delle “Guernica” all’italiana. Tra scene di bombardamenti e vittime della guerra trova il tempo di concentrarsi sul disegno industriale dei prodotti di calcolo e scrittura meccanica dell’Olivetti. Disegna anche il logo che per tutti gli Anni Cinquanta e Sessanta accompagnerà la produzione olivettiana.
La nuova vita creativa di Nizzoli lo consacrerà come il designer e architetto (insieme a Giuseppe Beccio) che nel 1950 crea la Lettera22 di Olivetti; la macchina per scrivere usata dai reporter di guerra per la sua robustezza e leggerezza oltre che da una schiera di scrittori e giornalisti che ne celebreranno il disegno innovativo e funzionale. Decine di premi dal Compasso d’Oro all’inserimento nella collezione permanente del MoMa di New York completeranno il lavoro di Nizzoli che vede realizzare anche dei progetti di architettura come l’edifico in viaClerici a Milano per gli uffici Olivetti o vari edifici per impiegati a Ivrea oltre al palazzo degli Uffici dell’ENI a San Donato Milanese. I disegni raccolti dal Centro Studi e Archivio della Comunicazione (CSAC) dell’Università di Parma mostrano un periodo di nuova energia progettuale con forme esagonali che sono alla base dei nuovi modelli di macchine da scrivere e che si trovano negli edifici progettati. La comunicazione di Olivetti si arricchisce di meravigliosi manifesti come quello per la Lexikon che sembrano la naturale estensione di un periodo molto prolifico e che stabiliscono anche un tono di voce per la comunicazione futura sviluppata da Pintori. Progetta copertine per riviste dove inserisce anche il suo nuovo stile pittorico che a ben vedere è lontano anni luce da quello appreso all’inizio del secolo osservando i secessionisti viennesi. Un percorso particolarmente ricco di cambi di rotta e intuizioni creative che dovrebbero far riflettere le generazioni contemporanee di creativi che verticalizzano il proprio lavoro pensando che il cambio di media sia un salto creativo laterale enorme quando invece, secondo me, si tratta soltanto del passaggio da una comunicazione analogica a una digitale.
Courtesy by: Heinz Waibl: alle radici della comunicazione visiva italiana collezione Salce, beni culturali (CSAC) Centro Studi e Archivio della comunicazione Università di Parma.