Nel percorso espositivo della bellissima mostra dedicata a Roberto Sambonet alla Triennale curata da Enrico Morteo, ho visto il “viaggio” di un artista, di un uomo, di un grafico e di un designer da un punto di vista insolito: dal mare. Preferisco seguire il filo delle emozioni che ho provato nello scoprire sia il percorso professionale sia quello intimo e personale del navigatore. Il navigatore e pittore che sceglie già da bambino che farà il pittore e che a ragion veduta ha il talento per poter affermare una cosa simile, cresce in una grande casa a Vercelli dove il nonno materno, pittore, decoratore e scenografo probabilmente asseconda il talento
del nipote anche perché sembra che all’età di poco di più di tre anni ritraesse non solo i suoi familiari, ma chiunque passasse per la casa di famiglia.

La passione per la pittura lo portò a consolidare il proprio percorso artistico iscrivendosi nel 1950 al corso di affresco che Achille Funi teneva presso l’Accademia Carrara di Bergamo e partecipando alla esperienza del gruppo dei Picassiani, nonostante avesse già iniziato gli studi di architettura al Politecnico tra il 1942 e il 1945, seguendo i desideri paterni. L’allestimento della mostra mette in luce un’impressionante quantità di “cose” fatte, dipinte, disegnate o ritagliate che mi portano a pensare che Sambonet abbia passato tantissimi momenti della sua vita con un pennello o una matita in mano riempiendo cartoline, tele o block notes di immagini, idee e suggestioni. La mostra si divide in tre fasi, presentando nel percorso il lato dell’artista più conosciuto: quello del designer. Le forme degli oggetti pensati e realizzati nella sua lunga attività sono delle autentiche “invenzioni” che oltre ad aver ottenuto importanti riconoscimenti celebrati con 3 Compassi d’Oro più uno alla carriera, lasciano nella iconografia del design italiano delle forme uniche sia per bellezza assoluta sia per funzionalità come la pesciera prodotta dall’azienda di famiglia, espressione di un raffinato capolavoro di ingegneria, difficilmente imitabile per la complessità dello stampaggio dell’acciaio e oggi in collezione al MoMA di New York.

Tornando all’Ulisse del racconto visivo nel mondo della grafica e dell’immagine ho visto con gli occhi di chi va per mare gli orizzonti mediterranei in dipinti dallo sviluppo orizzontale (la pesciera non è una coincidenza) dai colori spesso sintetici, una striscia di terra a volte scura che taglia due grandi superfici di blu diverso. Mi piace immensamente questo suo girovagare cercando nel viaggio spunti interessanti; lo sono sicuramente i tratti delle foglie o delle piante illustrate durante il suo soggiorno brasiliano.

Questa forza assoluta del segno ottenuta con un solo colore scuro su carte color ocra la si ritrova nei ritratti delle persone che soffrono di disturbi psichici dell’ospedale di Juqueri, a cinquanta chilometri da San Paolo. Ha ritratto le persone e il loro disagio psichico, vestito con un camice da medico e cogliendo la sofferenza e la malattia in modo accennato. Una parte di questo lavoro diventa il materiale illustrato del bellissimo libro “Della Pazzia” realizzato nel ’77 con l’interpretazione grafica di Bruno Monguzzi dei testi di accompagnamento di vari autori da Dino Campana a Michail Bulgakov, da Euripide a William Shakespeare.

La capacità di Sambonet di esprimersi attraverso la ricerca di linee pure e di sintesi estrema nel design lo portano a fare dei progetti grafici di assoluta efficacia; insieme a Pino Tovaglia, Bruno Munari e Bob Noorda, per esempio, progetta il logo della Regione Lombardia prendendo spunto dalla rosa camuna ma disegna anche il logo per la Triennale di Milano usando i cerchi tanto presenti nelle sue opere grafiche. Enrico Morteo, nella sua presentazione della mostra cerca di cogliere il filo conduttore di lavori che sembrano appartenere a personalità diverse dello stesso Sambonet; si chiede come possa convivere il mondo rigoroso fatto di linee essenziali tracciate a china con la leggerezza di opere pittoriche ricche di colore ed energia.

La spiegazione e interpretazione data dalla figlia Maia Sambonet sta in parte nelle immagini fotocopiate in rosso di tanti disegni, foto e progetti che in qualche modo annullano grazie all’unicità del colore le varie forme a tratti spigolose a tratti sinuose del lavoro dell’artista e permettono anche di riconoscere probabilmente un percorso fatto di ricerche e tappe diverse di una vita e di un viaggio alla scoperta di orizzonti unici, per tornare alla figura del viaggiatore-navigatore. Sempre parlando del “viaggiatore” Sambonet, la varietà e unicità che si trova nelle cartoline che ha realizzato, tutte diverse una dall’altra, e spedite ai figli Guia e Giovanni, quando era lontano, cercando di ridurre la distanza, mi hanno fatto pensare al desiderio di questo Ulisse di poche parole di comunicare attraverso elementi visivi a volte diversissimi tra loro (foto, collage, disegni) usando come denominatore comune l’espressività creativa costretta da uno spazio predefinito e obbligato, quello del rettangolo postale.

Non ho parlato per ragioni di spazio dei ruoli avuti da Sambonet con La Rinascente o con la Pirelli, dell’attività come art director della rivista internazionale di architettura Zodiac, della collaborazione con Pietro Bardi, Direttore del MASP di San Paolo, e con sua moglie Lina Bo Bardi, dell’amicizia con Alvar Aalto e di tanti altri, ma posso dire che dal percorso espositivo delle opere fino agli ultimi grandi quadri che mostrano porzioni di mare, la vita di Sambonet è stata caratterizzata da una passione per le cose che ha creato in un movimento creativo che, per energia e varietà, ricorda proprio il movimento continuo del mare e come un novello Ulisse lo ha attraversato guardando sempre a nuovi orizzonti.

Courtesy: Enrico Morteo, curatore della mostra “La Teoria della Forma”. Archivio pittorico Roberto Sambonet, Milano. Casva, Fondo Roberto Sambonet.

Leggi l’articolo su Touchpoint di Agosto/Settembre | 2024 n° 07