Per avvicinarmi ad Albe Steiner, del quale da sempre nutro un grande rispetto e un certo riconoscimento per quanto fatto dal punto di vista umano e civile, per aver reso un po’ più nobile il lavoro che faccio, ho fatto un giro largo e timido di avvicinamento. Ho pensato al “grafico partigiano”, all’uomo capace di mettere l’impegno civile “dentro” alla propria professione. Poi mi sono detto, rileggendo il suo libro “Il mestiere di grafico”, edito da Einaudi, che questo signore avrebbe ancora tanto da insegnare oggi e così ho preso la decisione di parlare con una persona che lo ha conosciuto da vicino: Anna Steiner. Figlia di Albe e Lica, docente al Politecnico e soprattutto custode e memoria cortese del lavoro e della storia dietro alla quantità sconfinata di lavori, bozzetti e progetti sviluppati dal papà.
Lo studio (oggi Origoni Steiner) è ricco di storie e di “Storia” vera e propria perché la formazione culturale, civile e politica di Steiner avviene in una famiglia dove il pensiero è libero e non condizionato da convenzioni religiose o da preconcetti razziali. Uno degli zii di Steiner, Giacomo Matteotti, venne ammazzato dalle camicie nere di Mussolini e il padre di Albe fu tra le persone che trasportarono la bara al funerale. Questo fatto, ma non solo, farà sì che tutti i componenti della famiglia saranno per più di vent’anni controllati dal regime. Albe vivrà poi la fine drammatica del suocero, il padre di Lica, catturato e ucciso per la sua identità ebraica, durante un rastrellamento in Ossola, il 15 settembre 1943, e del fratello maggiore, morto nel campo di Ebensee, sottocampo di Mauthausen, dove fu deportato, come avvocato antifascista, preso a Milano per una delazione. Una storia così particolare non poteva che dare risultati a dir poco originali nella formazione di Steiner e così all’età di undici anni il “ragazzo” produce il suo primo “manifesto” disegnando una caricatura di Mussolini accompagnandola con la frase: “Mussolini, gran capo degli assassini”. Questo disegno, che Albe aveva incollato per strada, venne da lui definito più tardi come: “Il mio primo cartello stradale”. L’impegno civile e politico di tutto il lavoro di Steiner fu una costante che durò tutta la vita, però vorrei che chi ci legge in questa rubrica non “confinasse” l’opera di Steiner soltanto nel contesto storico della Resistenza e della Sinistra italiana ma considerasse la grande modernità del “pensiero” di Steiner sulla comunicazione del suo tempo e per alcuni aspetti molto attuale ancora oggi.
Sentite per esempio cosa diceva a proposito della scarsa qualità della comunicazione urbana in Italia nel dopoguerra:
“L’Italia è un Paese visitato da milioni di turisti stranieri, ma vicino ai monumenti che sono l’espressione artistica della sua vita, in questi paesaggi straordinari, si è spesso disturbati da colori e da immagini che con il paesaggio, l’architettura e l’intorno dell’uomo non hanno niente a che fare”.
Un’attenzione all’ambiente che ci circonda e che oggi sembra più attuale che mai, dove l’inquinamento visivo può essere dannoso quasi quanto l’inquinamento da CO2 perché produce assuefazione allo status quo e al brutto che ci circonda. Steiner merita di essere studiato perché è stato più della somma delle sue parti creative: quando ha progettato il logo per la COOP, rinnovato e inspessito più tardi da Bob Noorda, e ha descritto l’unione tra le persone della cooperativa facendo “toccare” le quattro lettere che lo compongono come a sottolineare la missione di cooperazione tra persone.
Il logo di Urbino Città, invece, è frutto di un lavoro collettivo fatto coinvolgendo i ragazzi della scuola di Urbino ISIA; si potrebbe scrivere un libro solo su questo approccio dove lo stemma araldico del vecchio simbolo viene rivisto in modo contemporaneo. Si tratta di un piccolo capolavoro di sintesi estetica e concettuale con la “U” che diventa scudo e contiene in modo moderno gli elementi della tradizione. Steiner è stato in grado di “vedere” le cose da un’angolatura diversa anche fotografica; prendiamo per esempio la famosa foto del bambino ebreo con le mani alzate nel ghetto di Varsavia. La foto originale è molto più ampia ma l’idea di riquadrare soltanto il bambino venne per prima a Steiner per la copertina del libro “Pensaci, uomo” di Piero Caleffi e dello stesso Albe Steiner, edito da Feltrinelli; in questo modo la foto sottolinea ancora di più la drammatica contrapposizione tra un bambino inerme con le mani alzate e i militari tedeschi in assetto di guerra condannando l’assurdità di un conflitto tra prepotenti e deboli. Lo spazio dedicato da questa rubrica è veramente troppo poco per presentare la grandezza di questo uomo che dichiarava parlando della sua attività di designer “non si può fare una buona vetrina con brutti e mal disegnati prodotti”.
Nella sua veste di designer, Steiner ha disegnato penne, maniglie, ciclomotori e vari oggetti fino a essere chiamato a coordinare il reparto creativo della Rinascente. In questo spazio che fu il punto d’incontro tra creativi emergenti di scuola internazionale come Max Huber (autore del logo Rinascente) e architetti come Giò Ponti nacque l’idea di dar vita al premio Compasso d’Oro, riconoscibile per il celebre logo disegnato proprio dallo stesso Steiner. Il compasso che è rappresentato non serve, per chi non lo sapesse, a fare i cerchi ma veniva usato dallo stesso Steiner per calcolare le proporzioni auree. La sua più grande passione professionale credo sia stata legata ai prodotti editoriali a partire dal lavoro che svolgeva curando e pubblicando giornali clandestini durante gli anni della resistenza per arrivare ai progetti de Il Politecnico creato insieme a Elio Vittorini, del quale fu grande amico, oppure del progetto grafico di Rinascita, per il quale fu chiamato direttamente da Togliatti.
De Il Politecnico si è detto molto ma una cosa mi piace sottolineare del progetto editoriale che va al di là dello schema grafico e cioè l’idea di fondo che si cercava in quegli anni e che dovrebbe essere più che mai attuale, di “creare una cultura che prevenga e non che consoli”. Mi è sempre piaciuto il suo modo di “disegnare” i tantissimi bozzetti in piccolo riproducendo vari schemi di impaginazione e usando spesso solo due colori: il nero e il rosso.
La copertina per Interiors del ’48 parla lo stesso linguaggio sintetico e grafico e anticipa un’attenzione per la nascente cultura grafica italiana da parte degli editori americani. È stato in Messico dal ‘46 al ‘48 dove ha conosciuto, tra gli altri, Hannes Meyer, Direttore della Bauhaus dopo Gropius. Cercherà poi di creare, al suo rientro in Italia, una scuola (prima il Convitto Rinascita e poi L’Umanitaria) che si ispirasse al modello umanista e internazionale del Bauhaus. Nel ’68 è tra i membri della Giunta della Quattordicesima Triennale di Milano, dal tema “Il grande numero”, che vedrà le contestazioni che porteranno all’occupazione della Triennale stessa, che Steiner, con Giancarlo De Carlo e Billa Zanuso, accetterà nonostante il dispiacere di non vedere realizzato e visibile il lavoro delle esposizioni programmate su quell’importante tema. Per riassumere, un professionista e una persona non comune; un insegnante che oggi sarebbe bello osservare tra i ragazzi soprattutto per la sua capacità di saper vedere al di là del progetto grafico. Una visione dall’ampio respiro civile in cui certi valori non si devono dimenticare ma si devono portare nel messaggio di tutti i giorni. Probabilmente un insegnante che oggi ci insegnerebbe a “resistere” e anche a dire di no e che ci aiuterebbe a mantenere un pensiero critico verso le forme di comunicazione che stanno scivolando verso la banalità e la bruttezza spesso accompagnate da giustificazioni quali la “ricerca dell’impatto” che sono il frutto di una cultura della scorciatoia che ci accompagna dalla fine degli anni ’90.
Courtesy of Anna Steiner e Corraini Editore.