Una delle qualità essenziali di un artista grafico è quella di saper sviluppare uno stile personale in grado di essere “adattabile” a clienti e progetti evocando di volta in volta, a seconda dei lavori, atmosfere grafiche diverse ma pertinenti con le richieste dei committenti.

Questa peculiarità è sempre stata merce rara e ancora di più lo dovrebbe essere quando invece di una singola persona si parla di un team creativo come nel caso di Giulio Confalonieri e Ilio Negri.

Qui ci riferiamo a un periodo storico collocato alla metà degli anni ’50 quando Giulio e Ilio, poco più che trentenni, fondano la loro società che chiameranno con i loro nomi dopo averla battezzata per un breve periodo Studio Industria. Entrambi con studi di economia politica alle spalle, arrivano a incontrarsi professionalmente attraverso formazioni diverse: Giulio dal ’47 al ’53 si dedica alla pittura mentre Ilio, nello stesso periodo, si occupa di tipografia.
Il risultato di questa fusione tra percorsi personali diversi, unita a un momento milanese molto ricco di energia e creatività, è uno stile molto personale.

Osservando alcuni lavori come le copertine di Domus o le copertine dell’editore Lerici, solo per citarne alcuni, siha la sensazione di trovarsi davanti a un linguaggio moderno, internazionale e sobrio. Una fusione tra gli schemi ordinati di matrice svizzera e l’uso di immagini fotografiche tipiche della scuola americana e delle nascenti tecniche di riproduzione.

Giulio e Ilio lavorano come designer grafici per manifestazioni importanti come la Triennale di Milano,per editori e clienti industriali comePirelli o Cassina, disegnando loghi e pagine pubblicitarie, esposizioni e depliant. La storia dei due si incrocia qualche anno più tardi con altri due designer rilevanti della scena lombarda come Pino Tovaglia e Michele Provinciali, ma più che la cronologia evolutiva delle strutture commerciali a me interessa individuare quei momenti in cui si decide nella propria carriera professionale prima ancora di cosa fare, cosa “essere”. La discreta e raffinata eleganza, a volte soltanto tipografica a volte accompagnata da immagini fotografiche minimali, dei lavori di Confalonieri e Negri appaiono ancora più dirompenti se paragonati alla cultura visiva dello stesso periodo dove retaggi del periodo prebellico proponevano ancora una cartellonistica illustrata o dove sulle copertine della Domenica del Corriere primeggiavano le illustrazioni un po’ retoriche di Achille Beltrame. Quello che colpisce in ogni caso è che dietro allo stile sobrio, elegante eun po’ distaccato, tipico di una certa borghesia meneghina, si identifica e si trova a proprio agio una committenza che non vuole stupire, che preferisce comunicare senza esagerare lasciando carta bianca all’artista o al designer fidandosi della su competenza.

Un lavoro di tandem creativo tra cliente e creativi che ha prodotto grandi risultati estetici, ha creato una generazione di artisti, creativi, designer grafici che hanno addirittura esportato negli USA uno stile italiano (M.Vignelli e Unimark).

Un’energia che ha avuto neglianni ’70 e ’80 ancora dei grandi slanci mache si è spenta congli anni ’90, dove una “Milano da bere” ha sdoganato lo stilepiù esibizionista e appariscente generando la comunicazione “fai da te”. Così abbiamo assistito alle aziende impersonate da rampanti imprenditori creare messaggi dal dubbio gusto estetico dove la sola regola era quella di “sorprendere”, sempre e a qualunque costo. E il costo per il sistema della comunicazione e dello stile purtroppo è stato piuttosto altoe solamente con una apertura a modellidi comunicazione visiva internazionale (es: lo stile Apple) dall’inizio del nuovo millennio si è vista una inversione di tendenza che ci ha riportato ad avvicinarci a Paesi dove la cultura grafica è da sempre considerata un patrimonio nazionale e dove i professionisti del settore lavorano in tandem con i clienti, perché è il modello migliore per ottenere i migliori risultati.

Touch Point Magazine – Giugno 2021 | N°05

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