Adesso viene il bello, perché cominciare a parlare di Erberto Carboni è sia facile sia complicato. Si potrebbe cadere facilmente nella consuetudine di rappresentare Carboni come il grande comunicatore grafico che negli Anni ‘50 ha accompagnato Barilla attraverso un percorso di comunicazione che ha contribuito a far conoscere la grande azienda italiana avvicinandola alla
tavola degli italiani da poco usciti da un conflitto mondiale che aveva affamato un intero Paese. Vorrei, invece, parlare di Carboni da un punto di vista più contemporaneo, classificandolo più come un moderno direttore creativo e storyteller con una capacità narrativa orientata al contenuto dei messaggi e non solo all’utilizzo sapiente delle immagini. Da una serie di modi di dire come “levatevi il chiodo dalla testa” oppure “è sempre la solita minestra” sono nati annunci pubblicitari innovativi come quello riprodotto; chi mai si sognerebbe infatti, di mettere insieme una tenaglia e un chiodo in un annuncio di pasta Barilla? Solo un precursore del linguaggio pubblicitario come Carboni poteva immaginare una simile asimmetria tale da garantirgli una visibilità e un impatto sicuri.
La stessa forza del messaggio si percepisce nei suoi contribuiti per la comunicazione Rai dove, oltre ad aver creato i loghi e le sigle per l’emittente televisiva, ha spesso usato un linguaggio diretto e immediato che ricorda molto il vecchio modo di dire: “parla come mangi”.
Un altro esempio che arriva da un annuncio per l’olio Bertolli provocava con il titolo: “Burro o cannoni?” Secondo voi potrebbe essere adatto per un annuncio alimentare? Ecco… si potrebbe continuare. E infatti anche questo testo per il caffè “ecco”, solubile nella tazza, merita una piccola digressione. Ecco… la fretta del vivere quotidiano deve allearsi alla velocità di preparazione di cibi o bevande. Una tazza di… ecco da solo o con latte può essere preparata in un baleno perché… ecco si scioglie all’istante al contatto di acqua o latte caldi. Ecco… se questo non vi sembra un linguaggio pubblicitario degno di un moderno “storyteller” potete almeno riconoscere la modernità che per alcune similitudini si trova in un altro grande storyteller emiliano: Emanuele Pirella. Ma torniamo a noi e alla biografia necessaria per inquadrare la infinita portata di Carboni partendo con il dire che nasce a Parma il 22 novembre 1899, si diploma in architettura nel 1923 presso l’Accademia di Belle Arti della sua città e si dedica da subito all’illustrazione e alla grafica; nel 1932 si trasferisce a Milano, dove inizia a collaborare con la rivista L’ufficio moderno diretta da Guido Mazzali e da quell’anno intraprende collaborazioni con alcune tra le più importanti aziende italiane: Motta, Olivetti e Campari, collaborando esternamente con lo Studio Boggeri.
Secondo Lina Castellani da una sua considerazione su un bel libro del 1994 per la celebrazione dei cento anni di Barilla, l’essere architetto per Carboni rappresentava un modo di rispondere in modo visivo al funzionalismo promosso dal Bauhaus e da De Stijl ma anche dal Costruttivismo Russo (gli annunci per Rai sono pieni di riferimenti a tale movimento). Non a caso sono questi movimenti estetici che lanciano espressioni come “la costruzione architetturale dello spazio nella pagina” oppure “la modulazione dello spazio”. Sono concetti cari al mondo razionalista dei grafici svizzeri per esempio o degli architetti che hanno sempre cercato la purezza delle linee e che ho ritrovato in tantissimi suoi lavori. Una cosa che ho trovato interessante di Carboni cercando di immaginare il suo percorso creativo che gli ha permesso di spaziare dal design all’architettura – sua la poltrona Delfino di Arflex o la facciata della Triennale di Milano nella versione precedente all’attuale – è che non ha mai mancato di “leggerezza” nelle cose che ha realizzato. La leggerezza è una dote rarissima tra le persone che hanno raggiunto il massimo successo e che sono inserite in contesti istituzionali dove a volte il ruolo ricoperto appesantisce la capacità creativa. Alla Rai per esempio ha curato le sigle della Tv oltre a un nutrito numero di annunci stampa sempre riconducibili al “suo” stile che grazie al tono di voce e all’immediatezza del messaggio gli ha permesso di mettersi in sintonia con il suo pubblico invece di usare il tono astratto e autorevole che viene di solito usato da istituzioni di simili dimensioni.
Gillo Dorfles in una intervista parlando di Carboni osserva che in un’epoca in cui in Italia non si parlava ancora di “corporate images” Erberto Carboni nella sua collaborazione con Barilla raggiunge quasi da subito una “graphic images” unica e distintiva grazie a un format grafico pulito e razionale e a un tono di voce distintivo culminato con il ricevimento della Palma d’Oro della Pubblicità nel 1952 grazie alla campagna “Con Pasta Barilla è sempre Domenica”.
Carboni oltre alla sua attività di grafico, pubblicitario e illustratore ha allargato alla pittura e alla scultura il suo campo d’azione producendo opere dal segno riconoscibile e accostabile ad artisti come Ozenfant e Picasso o alle scuole di avanguardia Dadaista e Gestalt e partecipando a varie esposizioni internazionali come la Biennale di Venezia.
C’è una foto che ritrae Carboni sorridente e in maglietta bianca negli anni sessanta mentre stringe la mano a Pietro Barilla davanti a un pannello con i suoi lavori per l’azienda e mi piace immaginare che nonostante tutti i suoi innumerevoli successi abbia mantenuto una certa semplicità che lo ha portato a conservare quella leggerezza che è fondamentale nel lavoro che facciamo e senza la quale si finisce per prenderci troppo sul serio e di comunicare soltanto in modo razionale alla testa del nostro pubblico perdendo di vista, tanto per restare in tema di pasta, la pancia delle persone.
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