Ho scoperto Luigi Veronesi grazie alla bellissima mostra organizzata in occasione di Milano Graphic Festival 2022 da Gaetano Grizzanti in collaborazione con Aiap e ospitata all’ADI Design Museum di Milano. Per la verità avevo già incrociato la poliedrica figura di questo artista nato nel 1908 a Milano e che a diciassette anni si dilettava in camera oscura con i primi esperimenti fotografici, grazie a una manifestazione fotografica dal titolo “Venezia 79 La fotografia” quando studiavo fotografia, ma ignoravo tutto il resto. Non sapevo nulla di lui prima di cominciare a mettere insieme i fili di un’attività che lo ha portato nel tempo a sviluppare una vera e propria ricerca estetica oltre che tecnica e che sfocerà più tardi in una figura artistica a tutto tondo in grado di spaziare dalla fotografia al cinema, dalla musica al teatro, dalla pittura alla grafica astratta. Alcuni artisti hanno la capacità di amplificare la loro passione per l’arte esplorando creativamente tecniche diverse; Veronesi parte dal “fotogramma” per estrapolare la sintesi visiva e creare dei film astratti che visti dopo ottant’anni conservano l’energia creativa e sperimentale anche in
un’epoca dove le immagini ossessionano la nostra quotidianità. La critica dice di lui:
«Il procedimento è diretto: la pellicola è disegnata e dipinta fotogramma per fotogramma, così da non
dar luogo a del cinema vero e proprio, ma a ciò che Veronesi stesso definirà “organizzare della pittura in movimento” (…) Ciò che colpisce in questi film non è la costruzione grafica e coloristica, ma il gioco della luce e dell’ombra, che regge la narrazione e ne costituisce lo spazio: le cadenze, le pause, le fughe e i rallentati, che inseguono una percezione psicologica ed emotiva di ordine
ritmico, sincopato e vicino alla musica jazz o alla dodecafonia».
Prima di ritornare all’esperienza grafica di Veronesi vale la pena ricordare che proprio in questi giorni (dal 10 maggio al 4 settembre) Il Museo del Novecento dedica un accurato e puntale focus sul suo approccio interdisciplinare indagando la relazione tra arte, musica, teatro e cinema. “Luigi Veronesi. Histoire du Soldat”, a cura di Danka Giacon e Giulia Valcamonica, espone nello Spazio Focus il nucleo di opere acquistato dal Ministero della Cultura per le collezioni della Direzione regionale Musei Lombardia e depositato presso il Museo del Novecento. I sei bozzetti, realizzati nel 1939 con tempere e inchiostro su cartoncino, rappresentano i costumi di scena studiati dall’artista per i protagonisti dell’opera dell’“Histoire du Soldat” di Igor’ Fëdorovicˇ Stravinskij, declinati nelle diverse scene: il Soldato, il Diavolo in diverse fogge e la Principessa, affiancati dal progetto di una scenografia. Si tratta di un piccolo tesoro da scoprire dove “la sua pittura in movimento” si può apprezzare nella pellicola sperimentale Film 4 in cui la musica de “L’Histoire du Soldat” è accompagnata da una serie di immagini astratte a colori che si susseguono secondo il modulo della sequenza di Fibonacci. Nella pellicola, miracolosamente salvata e restaurata, le immagini grafiche danzano a ritmo di musica in una specie di ballata dall’astrattismo grafico ipnotico.
La sua biografia recita: partecipa alla prima mostra collettiva di arte astratta d’Italia, il 4 marzo 1934 nello studio dei pittori Felice Casorati ed Enrico Paolucci in Torino, con gli artisti Oreste Bogliardi, Cristoforo De Amicis, Ezio D’Errico, Lucio Fontana, Virginio Ghiringhelli, Osvaldo Licini, Fausto Melotti, Mauro Reggiani e Atanasio Soldati, i quali firmarono il “Manifesto della Prima Mostra Collettiva di Arte Astratta Italiana”. Partecipa alla Triennale di Milano nel 1936. Lo stesso anno partecipa a una mostra di arte astratta a Como con Lucio Fontana, Virginio Ghiringhelli, Osvaldo Licini, Alberto Magnelli, Fausto Melotti, Enrico Prampolini, Mario Radice, Mauro Reggiani, Manlio Rho e Atanasio Soldati. Il catalogo contiene una presentazione scritta da Alberto Sartoris. Ancora nel 1936 è illustratore del “Quaderno di geometria” di Leonardo Sinisgalli. Nel 1939 pubblica “14 variazioni su un tema pittorico” con commento musicale di Riccardo Malipiero, avviando una profonda analisi dei rapporti tra scale musicali e scale cromatiche, con particolare interesse per la musica dodecafonica.
In sintesi, potremmo dire che in Italia ha praticamente lavorato con i più grandi nomi oggi ospitati al Museo del ‘900 ma se volessimo continuare con l’esperienza internazionale potremmo aggiungere che: «Nel 1934 aderisce al gruppo parigino Abstraction-Création, conosce le esperienze del costruttivismo svizzero e aderisce al metodo del Bauhaus: determinante sarà la “lezione” di Wassily Kandinsky». Stringe rapporti con Fernand Léger e con László Moholy-Nagy.
I suoi fotogrammi astrattamente grafici gli fanno realizzare ben otto copertine per Campografico, la rivista italiana che negli anni ’30 è il riferimento di estetica e di tecnica grafica che lo porteranno negli anni Sessanta a realizzare il progetto della rivista Ferrania, un periodico, in concomitanza alla produzione e messa in commercio della Ferraniacolor (la prima pellicola a colori in Europa). La rivista diventa ben presto capofila di un nuovo modello visivo ed editoriale fondato sulla lettura dell’immagine a colori.
Oltre a tutto questo Veronesi ha anche trovato il tempo di insegnare prima al corso superiore di Industrial Design di Venezia e poi al corso di Scenografia all’Accademia di Brera. La cosa che colpisce è la capacità di ricercare continuamente in discipline artistiche, diverse tra loro, una polidimensionalità dell’arte intesa come un progetto globale, approfondendo la sua ricerca sui rapporti matematici delle note musicali, traducendoli nei rapporti tonali del colore e dei segni grafici. Un artista tutto da scoprire e che riserva sicuramente molte sorprese.