Attenti alla testa! Si potrebbe iniziare così per raccontare la storia di un grandissimo artista grafico, pittore, scultore ma soprattutto direttore artistico che, citando uno dei lavori grafici fatti dall’artista, ha fatto dire a Umberto Eco che si trattava di un messaggio semplicemente geniale. Sto parlando di una delle tante attività di Eugenio Carmi, maestro e “creatore di esperienze espressive” come lo definì Franco Russoli in una bellissima intervista su Graphis nel ’58.
Questa incredibile rivista mi fa sentire tutte le volte come un cercatore di tesori della grafica del secolo scorso, dove l’azione dello scavo è sostituita dallo scorrere di pagine a volte ingiallite quando non incollate dall’umidità.
Russoli fu sovrintendente con Mauro Pelliccioli al restauro de “L’Ultima Cena” di Leonardo da Vinci nel refettorio della chiesa di Santa Maria delle Grazie devastata dai bombardamenti della guerra. Negli anni Sessanta ottenne la libera docenza e insegnò all’Università degli Studi di Milano e al Politecnico. Dal 1957 fino alla morte fu Direttore della Pinacoteca di Brera. Insomma uno che di arte ne capiva qualcosa e che nell’analizzare il lavoro di Carmi all’inizio degli anni ’60 disse che raramente aveva trovato in un artista tanta coerenza tra tecniche così diverse ma riconducibili a un unico stile e con un messaggio poetico trasversale.
Chi è Eugenio Carmi e come si forma.
Nasce a Genova nel 1920 dove inizia a dipingere giovanissimo; nel ’38 è costretto a trasferirsi in Svizzera, prima a Zug e poi a Zurigo dove si laurea in chimica al Politecnico Federale. Zurigo, in quegli anni è una città aperta e cosmopolita e permette a Carmi di entrare in contatto con studenti e artisti espatriati dando vita al Circolo Gobetti. Rientrato in Italia, alla fine del conflitto, riprende gli studi artistici; diventa allievo di Felice Casorati a Torino, ma dalla pittura figurativa passa ben presto all’astrattismo. In parallelo lavora come grafico diventando membro dell’Alliance Graphique Internationale. La cosa che mi ha colpito, tra le tante, è il suo ruolo come direttore artistico svolto per il più grande complesso siderurgico del dopoguerra, Cornigliano poi Italsider. Questa esperienza così particolare meriterebbe di essere raccontata e analizzata per l’unicità del rapporto tra la committenza industriale e il mondo della cultura e dell’arte. Un percorso tipico italiano dell’energia creativa e ricostruttiva degli anni ’60 dove a guidare grandi aziende ci sono spesso industriali illuminati capaci di circondarsi di artisti e creativi mettendo il loro patrimonio produttivo in condizione di dialogare con l’arte per produrre, come ebbe modo di dire Gian Lupo Osti, Direttore Generale di Italsider, qualche cosa che va al di là della missione aziendale di produrre beni, producendo anche “civiltà”. Il ruolo della grande industria di Cornigliano consente a Carmi di agire, oltre che come artista, anche come direttore artistico di una rivista che va oltre il concetto di house organ aziendale e diventa un’occasione per invitare grandi artisti a interpretare attraverso le sue copertine una galleria di firme di artisti contemporanei come Alberto Burri, Rauschenberg, J.Tilson, G.Mathieu. La cosa che colpisce di Carmi, oltre alla potenza della sua arte espressiva portata a sperimentare l’uso di materiali pesanti come il ferro e l’acciaio abbinati a smalti colorati, è la sua generosità. Sì, perché la tentazione di quasi tutti i grandi artisti è sempre stata quella di proteggersi dai concorrenti, di non condividere i segreti dell’arte, basti pensare a Tiziano verso il Tintoretto, mentre Carmi aggrega intorno a sé i migliori artisti, scultori, fotografi (da Mulas a Patellani), i grandi registi, come Kurt Blum che girerà un film intitolato L’uomo, il ferro e il fuoco e che verrà premiato a Venezia con un Leone d’oro. Nel ’62 organizzerà a Spoleto una grande mostra intitolata “Le sculture della città”, con Giovanni Carandente, invitando Calder, Pepper, Consagra, Pomodoro a realizzare delle sculture in acciaio e ferro co-prodotte con gli operai delle acciaierie nella fabbrica di Cornigliano. Parlando di comunicazione pubblicitaria torniamo al lavoro grafico di Carmi fatto per l’industria. Le mani! La testa! Gli occhi! – che troviamo nel titolo di questo breve articolo – sono solo alcuni dei messaggi che appesi tra laminatoi e colate d’acciaio trasformano la fabbrica in una inconsueta galleria d’arte. La semplicità grafica e l’impatto visivo, unite alla forza del messaggio, sono così sorprendenti perché anziché indicare i pericoli, come nei normali cartelli antinfortunistici, pongono l’attenzione sulle parti del corpo interessate ai possibili infortuni. Questi cartelli anticipano un astrattismo grafico e geometrico che negli anni ’70 sostituiranno la ricerca espressiva fatta in precedenza, portando Carmi a dialogare con le leggi matematiche della proporzione aurea; il “fabbricante di immagini” – come si definisce in un bel docufilm girato da Fabio Bettonica e scritto da Eugenio Alberto Schatz e Valentina Carmi – ha il coraggio di cambiare ancora e di allontanarsi dalla fabbrica come l’abbiamo conosciuta negli anni ’60. Nell’analisi dei lavori fatti con il metallo e gli smalti, Russoli vede nella contrapposizione tra il materiale “inumano” e i colori, una lotta tra la legge della tecnica e la tensione dello spirito, tra le macchine e l’uomo.
Nei lavori grafici dei cartelli antinfortunistici, si vede, secondo me, anche la capacità di ribaltare lo schema della fucina, del caos, delle fiamme, del rumore assordante a favore di un segnale di ordine fatto di linee pulite, colori primari, di canoni classici e matematici capaci con la loro bellezza, non solo di fare arte, ma anche di salvare la vita degli operai.
Leggi l’articolo online su TouchPoint Magazine Dicembre – Gennaio 2021 – 2022 | N° 10