Questa è la storia di un grande artista, grafico, pittore, scultore, insegnante, editore, incisore solo per citare alcune delle forme artistiche con cui Leo Lionni si è espresso. Una storia che inizia in una grande casa olandese di Amsterdam, aperta alla cultura dei primi del Novecento del secolo scorso dove tra il grande viavai di parenti, zii, cugini di una grande famiglia votata al taglio e al commercio dei diamanti uno di questi zii per ragioni personali presta alcune opere alla famiglia dei Lionni e un ragazzino di cinque o sei anni si ritrova appeso nel corridoio davanti alla sua cameretta “Il violinista” di Chagall.

È verosimile che, crescendo in un simile milieu, qualche possibilità di esser influenzato dall’ambiente circostante ci sia stata e mettendo in conto che l’educazione scolastica della città prevedeva un’apertura culturale particolarmente moderna si capisce come Leo ricordi quello come uno dei periodi più ricchi di ispirazioni per la sua formazione.

Un dettaglio interessante che si riallaccia in tarda età a una delle sue varie attività artistiche è il racconto di come a scuola durante la prima elementare si fosse ritrovato a disegnare una foglia di edera da un grosso calco di gesso e che la sua “versione” della foglia fosse arricchita da un tratteggio per rappresentare le venature delle foglie; in città, al Rijksmuseum, poteva osservare e ispirarsi alle opere di Rembrandt, Van Gogh, Mondrian, non sentendosi limitato da confini tra arte classica o moderna o discipline come architettura o design.

Per ragioni familiari a quattordici anni la famiglia si trasferisce a Philadelphia e più tardi, nel ’25 a Genova dove a sedici anni incontra Nora Maffei che più tardi diventerà sua moglie. L’Italia dev’essere stata, per un ragazzo che giocava a basket negli States, un salto in un’altra dimensione atterrando in pieno “Ventennio” con il padre della sua ragazza imprigionato in quanto attivista e fondatore del Partito Comunista Italiano, dal regime fascista. Lionni ha raccontato dello choc di vivere una tale situazione sfociata più tardi nella necessità di emigrare a causa delle leggi razziali e della sua origine ebraica; nel frattempo trova la forza e la motivazione per laurearsi in Economia con una tesi sul taglio e sul commercio dei diamanti. Subito dopo e pochi anni prima di andare negli USA si trasferisce a Milano con la giovane famiglia e inizia a disegnare e dipingere tanto da farsi notare dal padre del Futurismo italiano, Tommaso Marinetti. Mentre disegna e presenta proposte per annunci pubblicitari alla Campari continua a dipingere e mentre Marinetti, lo definiva: “un grande futurista”, Lionni si sentiva più vicino a De Stijl e al Bauhaus e a conferma di ciò ebbe modo di dichiarare che non avrebbe mai messo un carattere tipografico in un angolo di una pagina alla moda dei futuristi, a meno che non ci fosse una buona ragione.

A Milano lavora con la fotografia e la pittura e firma alcuni lavori grafici per aziende come il lanificio Rossi, più tardi conosciuto come Lanerossi e per Casabella dove, collaborando con il direttore artistico Edoardo Persico, apprezza il “disegno razionale” della rivista. Arriva poi il momento in cui in Italia non si può più stare per la promulgazione delle leggi razziali e così Lionni ritorna in America, di nuovo a Philadelphia, dove ricomincia come “assistente” alla N.W.Ayer, agenzia pubblicitaria con importanti clienti americani. Uno di questi, la Ford Motors, stava mettendo in discussione il rapporto con l’agenzia ed è qui che il nostro protagonista si gioca una chance sviluppando delle proposte creative che superano la prova-cliente e lo portano nel giro di poco tempo a ricoprire il ruolo di Direttore Creativo; è l’inizio di una brillante carriera nel mondo della “pubblicità” e tra le tante curiosità sembra che abbia anche assunto un neofita Andy Warhol per fare i bozzetti per Regal Shoes. Irrequieto e sempre alla ricerca di nuovi stimoli si trasferisce a New York fondando un suo studio e iniziando da lì a poco una collaborazione con la rivista Fortune diventandone l’Art Director per quattordici anni. Tra le collaborazioni esterne possiamo citare il Museum of Modern Art, l’Olivetti per la quale crea brochure, annunci pubblicitari e showroom.

Firma il Padiglione Americano all’Esposizione Internazionale di Bruxelles e come Co-Editore e Art Director lancia la rivista Print, magazine capace di allargare i confini della comunità artistica riducendo la polarizzazione tra le varie discipline artistiche. A cinquant’anni lascia l’editore Time-Life e si trasferisce in Italia: per molti una scelta incomprensibile, un po’ come se oggi cercassimo di spiegarci quella di Jonathan Ive, Former Chief Design Officer di Apple che dopo aver lasciato l’azienda di Cupertino ha fondato un collettivo artistico (LoveFrom) che in questo momento sta disegnando font tipografici ispirati alla natura. Lionni racconta In una intervista a The American Institute of Graphic Arts che il lavoro che poi inizierà in Italia, creando libri per l’infanzia, nasce da un fatto accadutogli mentre con i nipoti viene bloccato a causa di un imprevisto su un treno di pendolari e che per intrattenerli inventa delle immagini strappando piccoli pezzetti da una rivista e ricomponendoli per formare delle storie. In Italia inizierà un nuovo percorso artistico continuando a dipingere e a illustrare libri per bambini (più di trenta) tradotti in tutto il mondo.

Lo spirito infantile coltivato fino alla fine di un grande artista come Lionni mi fa venire alla mente una frase di Friedrich Nietzsche che ben si adatta allo spirito che dovrebbe conservare un creativo: si deve essere ancora vicini ai fiori, alle erbe e alle farfalle come i bambini, che non sono molto più alti di loro.

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