Prendi un ragazzo talentuoso nato da un padre svizzero e da una madre italiana che cresce professionalmente tra la Milano degli Anni Venti frequentando l’Accademia di Belle Arti di Brera e Lugano emigrando poi a New York alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale e ne esce una formula eclettica di graphic designer dal tratto artistico a dir poco unico.
La formula grafica scientifica del titolo rimanda all’esperienza incredibilmente internazionale di George Giustima non solo; nato a Milano dopo aver frequentato la Scuola Tecnica e poi l’Accademia di Brera inizia a collaborare con varie realtà tra la città lombarda e Lugano fino a trasferirsi definitivamente a Zurigo dove aprirà il suo studio tra il 1930 e il 1938, anno in cui decide di spostarsi a New York. Da lì ha inizio una collaborazione decennale con The Davidson Chemical Corporation che porta George verso una ricerca
estetica, che secondo Georgine Oeri (Graphis), trasforma gli oggetti statici, le “nature morte” della pubblicità, in nuove forme dalla forza espressiva tipicamente latine.
È comunque vero che la sua ricerca estetica si avvale di elementi fotograficisperimentali per l’epoca che lo associano a percorsi artistici simili a quelli di László Moholy-Nagy, oppure nei collage e nelle illustrazioni si possono intravvedere assonanze al lavoro di Mirò.
La forza delle sue sintesi visive gli valgono varie commesse presso alcuni dipartimenti del Governo Americano tra cui quello dell’Agricoltura ma soprattutto quello dell’Esercito Americano e dell’Ufficio Strategico, per i quali Giusti riesce a sintetizzare immagini dal forte potere espressivo per poster e varie pubblicazioni durante il secondo conflitto mondiale.
Il linguaggio moderno ed eclettico, che non si può ricondurre né a una scuola svizzera né a una italiana, è in realtà un perfetto mix di ingredienti innovatori di scuola internazionale che sfruttano la ricerca fotografica in primo luogo, ma che mescolano tecniche pittoriche creando un effetto unico che portano Giusti a diventare uno dei collaboratori più stretti dei magazine Fortune,Time, Interiors e Graphis, per i quali disegnerà varie copertine.
La grande considerazione culturale della grafica negli anni ’50 e ’60 consentiva a chi lavorava come graphic artist di spaziare liberamente in altre discipline come la pittura e la scultura creando a volte art works usati come copertine di dischi oriviste che sono a tutti gli effetti prodotti artistici che collegano la grafica al mondo dell’arte.
Ha vinto numerosi premi per il suo lavoro e nel 1979 è stato inserito nella Hall of Fame dell’Art Directors Club of New York, mentre alcuni suoi lavori sono esposti al Museum of Modern Art e al National Museum of American Art.
Una curiosità che nemmeno Wikipedia riesce a spiegare è il suo cambio di cognome quando arriva negli Stai Uniti rinunciando a quello del padre, Wuermli, forse per l’origine tedesca (siamo nell’anno del Anschluss dell’Austria), per quello della madre italiana; una simpatica coincidenza che aggiunta alla nascita e formazione milanese lo potrebbe collocare nel panorama della grafica italiana d’Oltreoceano accostandolo ad altri famosi esponenti apprezzati negli Stati Uniti come Vignelli, Cittato, Giurgola, Lionni.
Leggi l’articolo online su Touchpoint Magazine Ottobre 2021 | n°08