Capita a volte di ritrovarsi a parlare di cose che si sono date per scontate e che abbiamo classificato in un determinato modo riponendole in uno schedario mnemonico lontano e impolverato di lontani studi di storia dell’arte. Poi succede che un’opera o un manifesto riletti con una visione più libera di quella accademica assumano una luce completamente nuova. Prendiamo Fortunato Depero e il suo manifesto sul futurismo e l’arte della pubblicità. Prima di Depero è doverosa una piccola interruzione pubblicitaria per chi non conosce il lavoro che spesso avviene nelle agenzie di pubblicità. Molte volte, infatti, davanti a nuovi progetti strategici o a nuovi clienti si sente dire: dobbiamo elaborare un “manifesto” che serva all’azienda per ricordarsi qual è la vision o la mission aziendale ma anche all’agenzia per riassumere spesso in modo cinematografico quali sono
i valori da comunicare. E poi se va bene, ci scappa anche una bella produzione video da chiamare video corporate o video… manifesto.

Premesso che è sempre utile partire dalle basi per costruire un edificio di comunicazione, quando mi sono imbattuto nel “Manifesto dell’arte pubblicitaria” di Depero, al sorrisetto un po’ sarcastico che mi era comparso ho aggiunto anche una sana dose di attenzione perché, via via che il testo si snocciolava comparivano alcune affermazioni che in fondo in fondo condividevo.

“L’arte dell’avvenire sarà potentemente pubblicitaria… è un’arte decisamente colorata, obbligata alla sintesi; arte fascinatrice che audacemente si piazzò sui muri, sulle facciate dei palazzi, nelle vetrine, nei treni, sui pavimenti dele strade, dappertutto; si tentò perfino di proiettarla sulle nubi; arte viva, moltiplicata, e non isolata e sepolta nei musei; arte libera d’ogni freno accademico – arte gioconda – spavalda – esilarante – ottimista – arte di difficile sintesi, dove l’artista è alle prese con l’autentica creazione”.

Se questo vale genericamente per i creativi o per le agenzie di pubblicità e trasmette tutta l’ingenua energia di un’epoca prebellica in cui spesso si guardava al futuro dal punto di vista del futurismo (movimento) come a qualcosa che avrebbe spazzato via il passato, vale comunque per alcune affermazioni su quanto la pubblicità fosse presente e invasiva già allora. Sulle nubi? Sì, probabilmente si immaginavano modi sempre più d’impatto ma a differenza di oggi, sempre con un certo “gusto” estetico. Poi c’è un’altra parte divertente ma altrettanto fondamentale che conosce bene chi fa il lavoro in agenzia ed è che non basta il proprio talento creativo e strategico se dall’altra parte non c’è un committente pubblico o privato che recepisca in modo altrettanto creativo e competente quanto gli viene proposto.

Ecco quindi, che secondo Depero “un solo industriale è più utile all’arte moderna e alla nazione che 100 critici, che 1000 inutili passatisti”. Avete presente i critici? Quelli che davanti a un progetto creativo cominciano con: sì, ma… oppure sì… però. Gli yes butters che mettono dubbi e impediscono quell’arte gioconda – spavalda – esilarante – ottimista – arte di difficile sintesi. Ecco Depero è stato un esilarante ottimista e nonostante la problematica partecipazione a un periodo storico che l’ha visto cantore fantasista del fascismo e dei messaggi del suo capo, ha rappresentato per la pubblicità e per la grafica un enorme punto di riferimento. L’approccio futurista di rivedere lo spazio della pagina in modo diverso ha portato a creare leprime impaginazioni libere dalle colonne. Posso immaginare quanto devono aver fatto impazzire i tipografi nel creare blocchi in diagonale giustificati. Già nel ’23 aveva elaborato l’uso plastico- architettonico di scritte definendole “architettura tipografica” e dopo aver soggiornato a Parigi per cinque anni e per un breve periodo anche a New York, aveva trovato tra le grandi riviste di moda come Vanity FairEmporiumLa Rivista eVogue gli interlocutori colti per la sua forma di comunicazione grafica.

Poi il pittore-scultore-scrittore inventore della “reinvenzione fabulistica-meccanica della realtà” trova, tra le tante aziende con cui collabora, il terreno fertile per creare per la Campari alcuni dei messaggi e delle immagini più iconiche della storia della comunicazione. Depero con la sua creatività colorata e le sue scritte verticali o diagonali mi ricorda sempre Alighiero Boetti e i suoi dipinti-tessuti con la scanzonata voglia di lanciare dei messaggi ma al contempo di deridere un po’ anche lo spettatore costringendolo a una fatica nel decifrare il messaggio. A Rovereto, La Casa d’Arte Futurista Depero è l’unico museo fondato da un futurista – lo stesso Depero, nel 1957-in base a un progetto dissacrante e profetico: innovazione, ironia, abbattimento di ogni gerarchia nelle arti. Depero, da vero pioniere del design contemporaneo, curò personalmente ogni dettaglio: i mosaici, i mobili, i pannelli dipinti. Una casa museo di un futurista incastrata in un borgo medievale; una giusta provocazione da accostare a una delle sue frasi riportate nel sito che dice:

“Quando vivrò di quello che ho pensato ieri, comincerò ad aver paura di chi mi copia”.

Courtesy: Archivio Fortunato Depero, Casa d’Arte Futurista Depero, Domus, Galleria Campari, personal collection.

Leggi l’articolo su Touchpoint di Aprile | 2024 n° 03