«Lasciatemi parlare con gioia di un tempo in cui gli inviati speciali non venivano spediti su campi di battaglia, ma su campi di corse e di golf per ritrarvi le belle donne, la mondanità elegante, le raffinatezze della moda. Si viaggiava da una nazione all’altra senza passaporto e senza carta d’identità: una cosa meravigliosa. Esisteva poi una specie di internazionale dell’intelligenza che superava tutte le frontiere e anche gli eventuali dissensi politici. Era un’epoca in cui non si poteva che avere fiducia nell’avvenire […] La guerra cancellò tutto questo. Tornammo subito in Italia, mia moglie ed io. Boccioni, Sironi, Martinetti e Carrà partirono per il fronte cantando: «A morte Franz, viva Oberdan! Io, figlio di garibaldino, non potei partire. Una lettera era giunta alle autorità in cui mi si accusava di germanofilia. La mia collaborazione al Simplicissimus contribuiva a rendermi sospetto. Mi salvai dal confino per l’intervento del vecchio Giulio Ricordi. Rimasi però un vigilato speciale e per tutta la durata della guerra dovetti presentarmi ogni settimana in Questura. Con la guerra era finito il periodo più bello e spensierato della mia vita!»
Ecco cosa scriveva Marcello Dudovich, uno dei più grandi artisti, pittori, cartellonisti del secolo scorso, nel periodo compreso tra il 1915 e il 1818. Triestino di famiglia dalmata, era figlio di un impiegato delle Assicurazioni Generali che era stato garibaldino e di Elisabetta Cadorini, pianista.
In poche righe Marcello Descrive un Europa che sparisce con la grande carneficina della prima guerra mondiale; un Europa che lasciava passare e condivideva non solo i talenti creativi ma anche i pensieri matematici, fisici e ingegneristici.
È interessante scoprire che la sua attività di inviato speciale per la rivista tedesca Simplicissimus prevedeva una vita agiata tra circoli culturali, corse dei cavalli e ambienti eleganti frequentati dalla buona borghesia. In questo contesto Dudovich elabora un tratto ma soprattutto una rappresentazione della figura femminile di estrema eleganza e ricercatezza che verrà più tardi apprezzata da aziende come La rinascente, Borsalino o dai Grandi Magazzini napoletani Mario Mele.
Dudovich inizia la sua carriera a Milano nel 1897, dove si trasferisce grazie all’amicizia del padre con Leopoldo Metlicovitz quello del manifesto del tunnel del Sempione, all’epoca già affermato pittore e cartellonista, e inizia come litografo alle Officine Grafiche Ricordi.
I dettagli della sua carriera dicono che dopo un periodo piuttosto intenso a Bologna ed uno piuttosto rapido a Genova rientra a Milano dove diventa a tutti gli effetti un artista affermato realizzando tra il 1907 e il 1913 vari manifesti per le campagne pubblicitarie promosse dai Grandi Magazzini napoletani dei Fratelli Mele. È la consacrazione di uno stile dove la figura femminile emerge dal fondo volutamente neutro per attirare su di sé tutta l’attenzione e dove lo stile e i dettagli dettano per molto tempo la linea dell’eleganza italiana non priva di un’influenza internazionale, frutto dei continui scambi culturali di Dudovich con il mondo “mittel” europeo.
Alla fine della prima guerra mondiale, nel 1920 ritorna a Milano, dove inizia la collaborazione tra le altre, con La Rinascente per la quale, dal 1921 al 1956, realizzerà più di 100 manifesti. Attraverso i cartelloni realizzati Dudovich viene riconosciuto come un’importante figura non solo dal punto di vista grafico, ma anche per la capacità che hanno le sue immagini di comunicare un messaggio che interesserà e influenzerà milioni di persone.
L’eleganza, la mondanità, le corse dei cavalli, gli abiti eleganti e soprattutto la femminilità delle donne rappresentate lo portano ad una collaborazione più che naturale con la rivista La Donna, illustrandola come esempio di raffinatezza ed eleganza. L’artista immortala le donne sdraiate su morbidi divani o in alcove con i loro grandi cappelli, ombrelli, ventagli e gioielli che subiscono però nel periodo prebellico della seconda guerra mondiale un deciso cambiamento a favore di uno stile più sobrio e più militaresco. La nuova produzione di cartelloni perderà il raffinato soggetto femminile per lasciare spazio alla virilità della figura maschile, con corpi muscolosi e pose in tensione che saranno le nuove immagini propagandistiche dell’epoca fascista.
Dudovich ad un certo punto subisce anche il fascino della Libia, scoperta grazie ad un invito nel ’37 di Italo Balbo e gli resterà nel cuore anche dopo la fine del conflitto e dove ritornerà nel 1951 ritrovando nuova energia e nuove ispirazioni al punto da costringere gli ospiti del suo studio a sedute di posa per evocare fittizie situazioni “libiche”, obbligando amici e modelle a indossare improvvisati burnus e a posare per qualche serie di scatti fotografici.
Ci sono di questa sua passione dei bellissimi ritratti e delle opere che suggellano una produzione artistica sconfinata che gli ha permesso di firmare manifesti per i più grandi marchi italiani come Campari, Fiat, Florio, Borsalino e i già citati grandi magazzini La rinascente e Mario Mele.
L’eleganza dei suoi manifesti è ricercata e apprezzata in tutte le mostre che gli vengono dedicate e le aste dove i suoi manifesti vengono presentati sono spesso aggiudicati a prezzi a due cifre.
La bellezza dello stile di Dudovich non è soltanto nel segno e nell’estrema eleganza delle sue rappresentazioni ma in un linguaggio che spesso anche a distanza di così tanto tempo è perfettamente riconoscibile e differenziante rispetto ad altri artisti della stessa epoca; c’è un passaggio da una visione liberty da Belle Èpoque ad un epoca “moderna” che fa si che le sue figure e i suoi soggetti acquistino via via dinamismo ed emergano per purezza e sintesi grafica in tutta la loro forza espressiva senza mia perdere di vista la classe e l’eleganza.

Courtesy: Archivio Marcello Dudovich, Alle radici della comunicazione Italiana, Heinz Weibl. Grafica Italiana, Giunti.