La creatività secondo me è frutto di una miscela che compone e ricompone elementi conosciuti in modo inusuale invertendo quelli che sono i normali punti fermi per trasformare l’ovvio in qualche cosa di speciale o di unico.
È quello che fanno oggi i disegnatori umoristici ed è quello che hanno sempre fatto prima di prestare pennelli e pennini alla pubblicità nel secolo scorso. Quando mi sono imbattuto nei lavori di Riccardo Manzi, una delle firme più importanti della rivista Pirelli a partire dagli anni Sessanta, ho trovato la forza e la sintesi di un’epoca che a cavallo della Seconda Guerra Mondiale ha cercato di far sorridere prima dalle pagine del Bertoldo (rivista satirica fondata a Milano da Zavattini nel ’38) e poi attraverso le varie collaborazioni con Il Tempo e altre testate dell’epoca, in modo graffiante e intelligente.
Oltre alla forza del segno, l’ironia che si respira in tutti i lavori è probabilmente il frutto di uno scambio continuo con “colleghi” come Mosca, Mondaini o Steinberg, che al Caffè Grillo di Milano condividevano visioni e confronti creativi. Quest’ultimo (si stava laureando in architettura al Politecnico) prima di lasciare l’Italia per gli USA a causa delle leggi razziali, aveva già inventato uno stile umoristico legato all’architettura (che detestava!).
Le sue copertine memorabili per il New Yorker e le sue partecipazioni alla Triennale di Milano qualche anno più tardi testimoniano di un clima aperto e di una città in cui i pittori o i grafici dell’epoca condividevano la stessa energia rinnovatrice. Manzi era il più giovane di questo gruppo di artisti. Lo spirito grafico dei nuovi disegnatori era, a parte alcune differenze culturali e alcune peculiarità, abbastanza distante dallo stile canonico e moralista dell’epoca.
Questa nuova generazione sembrava fatta da dilettanti allo sbaraglio senza una grande formazione accademica e senza una solida base di disegno anatomico.
Nessuno di loro si era mai posto il problema di avere uno “stile”; semmai la loro comune “verve” consisteva nell’inventare scene puntando più all’efficacia del concetto che alla qualità delle linee.
Di questo gruppo, che per freschezza ricorda artisti del calibro di Cocteau e Mirò, Manzi è quello che ha coltivato la libertà di espressione anche quando è diventato una delle figure più importanti del panorama grafico italiano. La libertà lasciata da Leonardo Sinisgalli, attraverso la rivista Pirelli, di illustrare concetti o di esprimere idee creative negli annunci pubblicitari ha consentito al “pittore” Manzi di diventare uno dei primi interpreti della svolta creativa italiana degli anni ’60 mettendo nelle immagini dei prodotti da pubblicizzare commercialmente un po’ di humor e poesia.
Il poeta-ingegnere Sinisgalli, al quale viene attribuito l’invenzione del nome Giulietta per Alfa Romeo, lo volle tra gli artisti della scuderia Pirelli e parlando della vis-comica di Manzi anzi della vis-grafica la definì: presa di coscienza di una realtà tutta nuova dove gli oggetti si scontrano con le emozioni sul piano del sogno o del simbolismo.
Tutto vero, ma se vogliamo potremmo anche aggiungere in tono meno poetico che la capacità graffiante di sintetizzare e di creare cortocircuiti visivi uniti a una energia pittorica espressionista ha reso le opere di Manzi nell’applicazione pubblicitaria, dei “key visual” (come diremmo oggi) perfetti perché accessibili grande pubblico per la loro leggerezza in contrapposizione alla forte sintesi espressiva.
Touch Point Magazine – Aprile 2021 | N°03